È un vitigno a maturazione tardiva (nella prima-seconda decade di ottobre) in via di abbandono ma oggi in fase di rivalutazione. Vanta origini antiche, il primo riferimento storico risale alla fine del 1500. Alla fine del 1800 si deve la massima concentrazione della sua coltivazione nelle province di Cosenza e Catanzaro, dove era più importante del Gaglioppo. Attualmente si trova frammisto ad altre varietà locali nei vecchi vigneti delle province di Crotone e Catanzaro, mentre nel Cosentino è anche coltivato in purezza.

Appartiene alla vasta famiglia dei Magliocchi tipici della viticoltura calabrese, ma dai quali differisce per diversi caratteri, primo fra tutti il grandissimo potenziale enologico che questo possiede al confronto con gli altri.

Un tempo era utilizzato per aggiungere corpo e struttura ai vini locali, ma via via venne sostituito con il più produttivo Gaglioppo, il celebre vitigno che è la base del Cirò. Si è creata confusione tra il Magliocco e il Gaglioppo che qualcuno continua a chiamare “Magliocco” o “Mantonico nero”, ma in realtà si tratta di due varietà distinte che danno risultati organolettici completamente differenti.

L’origine del sinolare nome è sconosciuta, forse perchè il grappolo si presenta piccolo come un pugno o maglio. Di recente alcuni produttori si sono orientati verso la vinificazione del Magliocco in purezza, la prima azienda che ha iniziato questa sperimentazione è stata nel 1988 la Librandi grazie alla collaborazione con il professor Attilio Scienza e con l’enologo Donato Lanati.

Il risultato è un vino molto elegante e fine, di colore rosso rubino carico, spiccati aromi di frutta secca, gusto armonico e morbido, buona alcolicità, bassa acidità e una spiccata attitudine all’invecchiamento, soprattutto se affinato in barrique. Si abbina a carni rosse, cacciagione, selvaggina, piatti dal gusto intenso e a formaggi ben stagionati. Il Magliocco è presente nelle Doc Lamezia e Savuto.