La storia del piedirosso, detto anche per ‘e palummo per via del graspo a zampetta di piccione, è davvero singolare: nel giro di pochi anni è passato dall’essere il simbolo di vino da dimenticare, acetoso al naso e tenuto in piedi solo dall’acidità, a nuovo modello di rosso da inseguire e c’è perfino chi lo paragona al pinot nero in alcune sue espressioni più riuscite. Sicuramente la moderna tecnologia in cantina e le conoscenze agronomiche hanno migliorato di molto questo antico vitigno dell’area napoletana, ben acclimatato sui suoli vulcanici sciolti, croce per tutti i contadini a causa della sua difficoltà nell’invaiatura e poco prolifico.

Il nome caratterizzerà per lungo tempo, anche nella lingua italiana con il termine di Piede di Palombo, l’indicazione del vitigno che sarà conosciuto come Piedirossosolo dal 1909 quando il Carlucci lo definì quale uguale al Palombina Neradescritta da Herrerae Sederini nei suoi documenti del XVI secolo in cui la si assimilava alla Colombina, le cui descrizioni risalgono al Naturalis Historia di Plinio in epoca romana.

Come Piede di Palombo viene descritta la prima volta da Columella Onorati ripreso poi da Froio nel 1876.

Il vitigno è molto vigoroso, con maturazione medio-tardiva nei primi 20 giorni di ottobre. Le rese sono nella media o basse, ma costanti. È molto concentrata in zuccheri con acidità media. Presenta grappoli di dimensioni medio-grandi, a forma piramidale e a spargolo. I chicchi sono di media grandezza, sferici, con alte concentrazioni di pruina sulla spessa buccia di colore rosso-violaceo.

Nella varietà Piedirosso Avellinese il grappolo è alato. Il vitigno si trova bene anche sui terreni calcarei, ma certamente in quelli di origine vulcanica della Campania trova il suo ambiente naturale. Specialmente in collina intorno ai 300-400 metri di quota. Preferisce sistemi di allevamento poco espansi. È tipico e molto diffuso in Campania, specie nelle provincie di Avellino e Benevento.

ll Piedirosso fa parte di molte denominazioni di origine e indicazioni geografiche campane, sia in purezza che in assemblaggio, come nel Sannio DOC, nel Sant’Agata dei Goti DOC, Costa d’Amalfi, nel Campi Flegrei DOC, nel Falerno DOC nel Lacrima Christi o nel Taburno, anche in tipologia rosato. Viene coltivato intensivamente anche sulle isole di Capri e Ischia per le rispettive denominazioni. Si predispone bene all’invecchiamento ma può essere bevuto anche giovane.

Generalmente fornisce vini di buona struttura tannica, con un bel colore rubino. La gamma olfattiva varia dai frutti rossi come prugne e ciliege dei vini giovani fino alle sfumature terziarie degli invecchiati, con note di caffè, tabacco e speziature. Nella zona del Sannio compaiono anche profumi resinosi e affumicati, con piccole note floreali che possono avere punte balsamiche nei prodotti migliori.

Tra gli abbinamenti vanta associazioni con la selvaggina e il pollame nobile, ma può essere servito anche con carni strutturate di maiale, salsicce e formaggi stagionati.