Il vitigno Petit rouge viene da molti considerato il migliore vitigno a bacca rossa della Valle d’Aosta, di cui è con tutta probabilità da considerarsi un reale autoctono. Le prime traccie della sua coltivazione risalgono all’epoca dell’antica Roma. Come molti altri vitigni valdostani, sembra potersi ricollegare alla famiglia degli autoctoni “Orious”, che a sua volta include due sottofamiglie, i “Gros Orious” e i “Petits Orious” cui il vitigno Petit Rouge appartiene. In Val D’Aosta ci sono piccole produzioni ottenute da storici vigneti di Petit Rouge coltivati lungo la valle della Dora Baltea.

La sua zona di coltivazione si estende dal comune di Saint Vincent fino ad Avise, lo si trova addirittura ad altezze che sfiorano gli 800 metri slm ed è tra i vitigni preferiti dai valdostani grazie alla sua resistenza, alla resa e ai suoi risultati in fase di vinificazione. Conosciuto dai viticoltori valdostani con il nome, in dialetto, “Pitchou Rodzo”, questa vite da origine a grappoli tipici per la forma molto ridotta degli acini, che, vendemmiati ben maturi, producono un vino dal colore rosso violaceo tendente al granato e dal profumo intenso, con note di rosa canina, viola, lampone e mirtillo tendente, col tempo,  alla mandorla  amara.

Il Petit Rouge è l’uva base utilizzata per una vasta gamma di vini rossi Valle D’Aosta DOC, soprattutto nella zona dell’Enfer d’Arvier e del Torrette.
Per scoprire le sue origini dobbiamo fare un viaggio nel tempo e retrocedere al V secolo d.C. , periodo in cui la viticoltura valdostana subì, in maniera alterna, periodi di attività e di abbandono a causa delle ripetute invasioni da parte dei Barbari e dei Saraceni. Gli abitanti locali scapparono dalle campagne e le diverse tipologie di vite, non più curate, svigorirono, senza però perdere il proprio corredo cromosomico. Esistono tutt’ora in diverse zone della Valle d’Aosta antichi ceppi inselvatichiti che ancora sopravvivono e prosperano. Dopo il XI secolo le campagne valdostane si ripopolarono grazie soprattutto all’intervento della Chiesa e della nobiltà locale, iniziò, quindi, un’immensa opera di disboscamento, vennero costruiti numerosi terrazzamenti, sfruttando qualsiasi terreno, anche in posizioni inaccessibili, purché avente condizioni ideali alla viticoltura. I vignerons dell’epoca prelevarono preziose talee dai vari ceppi selvaggi e, con amorevoli cure, le trapiantarono ovunque moltiplicando in questo modo viti con caratteri genetici poco mutati nel tempo, e altre con genotipi rinnovati dai processi della riproduzione sessuale. Ebbe in questo modo inizio un meticoloso processo di selezione che aveva l’obiettivo di propagare uve produttrici di vini qualitativamente validi, che non dovevano  solo appagare le esigenze delle proprie famiglie ma soddisfare i raffinati palati dei nobili del Ducato, delle Contee e delle Baronie.

Si accompagna bene con i salumi, le zuppe, adatto a tutto pasto.

In cucina viene usato molto nelle ricette valdostane. Dallo stesso vitigno si realizza anche la più tipica grappa valdostana.