Il Girò è un vitigno rosso che fu introdotto Campidano di Cagliari durante l’occupazione spagnola dell’isola sarda intorno al 1500 anche se inizialmente la sua diffusione era molto limitata, per poi esplodere due secoli più tardi. È quindi di probabile origine spagnola, anche se oggi è molto diffuso solo in questa parte dell’Europa, divenendo praticamente autoctono. È citato comunque da molti autori che spesso lo hanno indicato con nomi diversi, come il Manca dell’Arca descritto da Zirone in Spagna, o i sinonimi in dialetto sardo Nieddu Alzu e Aghina Bàrja per il Mameli e infine il Girone di Spagna per l’autore Lolli. Per il Flora Sardoa di Morris il vitigno invece si chiama Vitis Suavis. Il periodo di maggiore diffusione riguarda la Sardegna del sud della prima metà del Settecento, sotto il dominio Savoiardo, come riportato dalle leggi emanate all’epoca per la regolamentazione nelle coltivazioni vinicole ad opera del Marchese di Rivarolo del 1736. Come moltissime uve europee, anche il Girò venne drasticamente ridotto  e messo in pericolo dall’epidemia di filossera della metà dell’Ottocento, ma dalla fine degli anni 70 del Novecento i viticoltori sardi preferirono reimpiantarlo, decretando un forte sviluppo che ha riproposto all’attenzione degli appassionati il vitigno. Il Girò si presenta con grappoli di medio-grandi dimensioni, a forma cilindrica o piramidale, alati con densità a semi-spargolo. Le bacche sono di medie dimensioni, sferici, con buccia spesse e nero-violacee. Viene coltivato quasi esclusivamente nel Campidano, dove i terreni hanno ricche concentrazioni di calcare e argilla, ben lavorati in profondità. I terreni grazie all’argilla sono freschi ma al contempo l’ottimo drenaggio non ne trattiene l’umidità, mantenendoli caldi. Si coltiva con forme di allevamento poco espanse. Le rese sono ottime ma non regolari, e anche se ha un buon comportamento nelle variazioni climatiche, mal sopporta le malattie crittogamiche.

Il Girò può essere vinificato in purezza nella denominazione di origine DOC Girò di Cagliari, prodotto in diverse tipologie, ma anche in assemblaggio con le altre autoctone sarde. Nelle vinificazioni in purezza viene spesso prodotto nelle tipologie secche o dolci, come vino liquoroso o dolce naturale in cui in ogni caso spiccano delicati sentori di mosto o uve fresche, sempre a seconda della vinificazione, e nespole con piccoli frutti rossi. Il palato risulta generalmente morbido, a volte vellutato nelle lavorazioni migliori, spesso asciutto, con un grado alcolico medio e una bella struttura sorretta da tannini accennati. Raramente viene vinificato secco, dando il meglio di se in versione dolce e liquorosa. In questi casi è un ottimo compagno per i dolci a pasta non lievitata, specialmente quella sarda con le mandorle come ingrediente base. Ma si abbina bene anche alla pasticceria cremosa o con le crostate di frutta, ma anche alla frutta, sia fresca che seccata. Inoltre sembra sentirsi a suo agio con i formaggi dell’isola, in particolare con quelli stagionati. La degustazione viene consigliata nei calici a tulipano, a circa 10-12 °C.